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L’alambicco

Il nome alambicco deriva dalla parola araba al-‘inbĭq, vaso, recipiente (per distillare).

E’ un apparecchio che serve per la distillazione di varie sostanze fluide, come le essenze alcoliche. L’alambicco è costituito da una caldaia o cucurbita, la cui sommità si chiama cappello o duomo o elmo: su questo è saldato un tubo a “collo di cigno” che porta al condensatore, attraverso uno scaldavino.

Il condensatore è costituito da una serpentina, inserita in un tino refrigerante, raffreddato con circolazione d’acqua.

Dal liquido, portato ad ebollizione nella cucurbita, si liberano vapori che passano attraverso il collo di cigno e la serpentina, nella quale avviene la condensazione, riottenendo un liquido composto dal solo prodotto distillato.

E’ grazie all’alambicco ed al perfezionamento delle tecniche di distillazione se possiamo godere, oggi, di ottimi liquori e distillati.

Introdotto in Europa dagli Arabi attorno all’anno 1000 d.C., fu dapprima utilizzato per produrre profumi ed essenze, poi, nei Monasteri, per ricavare estratti medicamentosi da erbe, piante e radici,

Dovevano passare alcuni secoli perché gli Alchimisti, che cercavano la “pietra filosofale” e la “quintessenza” (l’essenza delle cose), distillando e ridistillando le sostanze più disparate, ottenessero dei liquidi sempre più alcolici, con proprietà inebrianti.

La nascita dei principali liquori avviene nell’arco di due secoli, dalla metà del 1400 agli inizi del 1600, nell’Europa centrale e nelle isole britanniche (soprattutto in Scozia ed in Irlanda).

Ecco una cronologia della scoperta dei vari distillati desunta da varie fonti: le date sono spesso presunte e tutt’ora sono oggetto di dispute e pretese di primogenitura:

1461       ARMAGNAC, alcuni pretendono addirittura che sia nato nel 1100. Notizie storiche certe riportano notizia delle prime tasse sull’aygue ardente nel 1461, al mercato di San Sevère e di esportazione di barili di distillato all’inizio del 1500 verso Amburgo, Anversa e Middlesbrough.

1450       VODKA

1494       WHISKY

1510 ricetta BENEDECTINE

1553       CALVADOS

1600 (?) GIN

1604       ricetta CHARTREUSE

1610       COGNAC, però già dal 1549 si hanno notizie di un distillato dal vino prodotto nelle

Charentes (Francia).

Una storia a se ha invece la GRAPPA. La grappa, in quanto acquavite, è stata concepita nell’ambito degli studi della Scuola Salernitana che, intorno all’anno Mille, codificò le regole della concentrazione dell’alcol attraverso la distillazione e ne prescrisse l’impiego per svariate patologie umane garantendo ai distillati un imperituro successo. Le vinacce, materia prima alcoligena povera (rispetto al vino, tanto per fare un esempio, contengono i due terzi di alcol in meno), ma molto diffusa, furono immediatamente prese in considerazione e, della loro acquavite, si parla già nel 1400. Le prime testimonianze dello studio sulla distillazione delle vinacce risalgono però al 1600 e sono dovute ai Gesuiti, tra i quali va ricordato il bresciano Francesco Terzi Lana. Fino agli inizi del XIX secolo non vi è però una distinzione tecnologica netta tra i distillati alcolici, poi l’Italia della grappa scelse una propria strada che portò alla creazione di una bevanda con caratteristiche uniche e irripetibili.

MdL Sergio Vasconi

Diario di un viaggio avventura verso “LA FINE DEL MONDO”

Siamo 6 amici, tutti pensionati o quasi, perché qualcheduno come il sottoscritto ha ancora qualche collaborazione part-time, non adattandosi a fare il pensionato dopo una vita movimentata di lavoro come è stata la mia: è la soluzione per restare giovani e non ossidarsi.

Per il mio lavoro, nel campo dei grossi progetti di ingegneria civile nella più importante società di costruzioni italiana, ho vissuto per circa 14 anni all’estero e per i rimanenti 20 anni ho continuato a girare il mondo seguendo i cantieri dalla sede di Milano della mia società. Per estero e per mondo intendo i paesi africani, i paesi sud, centro e nord americani ed il vicino oriente.

E’ quindi rimasta  in me la voglia di viaggiare, visitare posti nuovi e sopratutto avere nuove esperienze a contatto con le popolazioni locali.

E’ così che assieme agli amici abbiamo, direi ho, ideato dei viaggi in paesi che solo in parte erano a me famigliari, ma dei quali avevo una padronanza abbastanza buona della lingua.

Nel gennaio/febbraio 2004 ho organizzato un primo viaggio di circa 40 giorni nella Patagonia cilena ed argentina, nella Terra del Fuoco e nelle regioni aride e desertiche del nord del Cile (Deserto di Atacama).

Nel novembre del 2005 ho organizzato un secondo viaggio di trenta giorni in Perù e Bolivia.

Ho infine organizzato un terzo viaggio: ancora Cile e Argentina, ma in parte in zone nuove, dove ci siamo recati per trenta giorni tra gennaio e febbraio 2008. Si tratta di zone meravigliose per la natura, la flora e la fauna, ma soprattutto per i panorami costituiti da foreste incontaminate, con specie arboree a noi sconosciute, vulcani a cono con  cime innevate, miriadi di laghi, cascate, fiumi impetuosi ed estesissimi ghiacciai perenni al livello dell’oceano, alimentati dal “Campo de Hielo Sur” la terza superficie per estensione di ghiaccio dopo Antartide e Artico, che scendono lungo le valli della Cordigliera andina;  e poi per i silenzi e gli spazi vuoti ed immensi dove si  incrocia un’altra automobile ogni ora.

L’organizzazione propedeutica di questi viaggi è stata per me uno dei momenti più interessanti: avendo  una  conoscenza, anche se alcune volte solo parziale dei luoghi dove ci siamo recati e della  lingua, mi è stato assai facile chattare in internet, anche perché considerandomi un cittadino del mondo, reputo  avere una  mentalità aperta senza paura dell’avventura.

La potenzialità di internet è impressionante. E’ appassionante poter inviare un messaggio od una richiesta dall’altra parte del mondo ed avere la risposta nel giro di poche ore: alla fine di un fitto scambio di corrispondenza si instaura un rapporto di amicizia e di famigliarità, ci si scambiano opinioni e notizie riguardanti il mondo in cui viviamo, veniamo a conoscenza delle attività dell’interlocutore e spesso appaiono  sullo schermo le immagini della famiglia, dell’Hostal (pensione) dove alloggeremo o delle escursioni correlate al luogo. Con internet si prenotano l’alloggio nelle diverse tappe programmate, il noleggio dei mezzi di locomozione, i traghetti per attraversare tratti di oceano dove finiscono le strade o fiumi dove mancano ponti, escursioni in battello o gommone per visitare isole dove vivono migliaia di pinguini, foche e leoni marini, oppure per visitare il fronte di giganteschi ghiacciai che si gettano o in un lago a bassa quota o nell’oceano, rilasciando centinaia di piccoli iceberg.

Desidero aggiungere qui di seguito quanto scritto da uno dei miei amici che ha partecipato al primo viaggio in Patagonia, quello del 2004 e che rispecchia i suoi stati d’animo che sono, credo, quelli della maggioranza delle persone che non hanno avuto, come me, la fortuna di girare il mondo:

………”Eravamo decollati da Roma poco prima delle nove di sera diretti a Santiago, capitale del Cile, che avremmo raggiunto dopo una breve sosta a Buenos Aires per il cambio di aereo.

Avevo finalmente incominciato il viaggio, il mio primo viaggio di scoperta, di avventura, ma non pericoloso o estremo, lontano dai canoni della programmazione  di cui oggi anche i viaggiatori curiosi ed appassionati spesso si avvalgono.

Questo viaggio era nato nel cuore   di Sergio e per lui non è stato difficile coinvolgere gli altri pensionati dell’attuale gruppo spronandoli a scuotersi dalla monotonia quotidiana e a prepararsi a nuove emozioni. Sapevo di andare incontro a difficoltà di adattamento, sia al gruppo che alla logistica del viaggio nei grandi spazi della Patagonia, ma prevaleva  in me la voglia di misurarmi in nuove esperienze.

Adesso dentro di me provavo una grande quiete, la quiete del bambino a cui sono ancora sconosciute le regole della vita. Forse anche i miei amici stavano provando le stesse sensazioni. Avevamo appena incominciato un bel gioco che sarebbe durato parecchie settimane, legati tra di noi, dal rispetto reciproco, dalla stessa voglia di avventura, dallo stesso spirito di interpretazione del viaggio, noi soli uomini oggi pensionati,  inquadrati come in un plotone di soldati guidato dal loro capitano, al quale avevamo riposto la nostra fiducia già nella fase di preparazione del viaggio. Non ci sarebbero stati i consigli amorevoli delle nostre mogli, se non nel ricordo delle raccomandazioni rivolteci alla partenza del nostro viaggio. Insomma eravamo esenti dai piccoli richiami nel comportamento, nell’abbigliamento, nella forma del dialogo: potevamo considerarlo un vero e proprio corso di diseducazione a tempo limitato.

Ricordo bene l’estate che ha preceduto il nostro viaggio, trascorsa come sempre sulle Prealpi bergamasche, dove il dialogo con il mio amico Sergio aveva assunto una forte e decisa accelerazione giungendo alla conclusione di dar corso pratico alla realizzazione del  nostro sogno che già da due anni stagnava nelle nostre menti. Dovevamo trovare assolutamente una cura efficace al malessere che soffoca la maggioranza di noi pensionati, provocato dalla nostalgia di quando ancora in attività si era continuamente impegnati a fare qualcosa. Due o tre anni di pensionamento non sono sufficienti a colmare il tuo spirito di intraprendenza che, anche se sopito, è ancora dentro di te. Ora la nostra voglia di fare si divide tra  posta, banca, supermercati, suddivisione differenziata della spazzatura domestica, decisione, anche se non richiesta sul punto di cottura della pastasciutta e cosi via. Le mansioni elencate non sono fortunatamente esaustive, ma appartengono alla vita del pensionato.  Il fatto nuovo fu che il luogo geografico era stato individuato nella Patagonia cilena e argentina e negli altopiani desertici al nord del Cile confinanti con  Bolivia e  Perù per una durata di circa quaranta giorni”.

Ed ora alcuni brani del lungo diario di viaggio:

…………Stiamo per lasciare la capitale Santiago del Cile con destinazione Puerto Montt, a circa 1.000 km più a sud  sulla costa del Pacifico, da dove incomincerà la vera e propria  esplorazione della Patagonia. Arriviamo puntuali all’aeroporto El Tequal di Puerto Montt alle 10,30. Prendiamo possesso dei due pick-up Chevrolet, precedentemente prenotati dall’Italia alla Budget di Santiago almeno due mesi prima della partenza con prezzi bloccati in dollari e con un ottimo contratto a noi favorevole per il cambio. Prima di lasciare definitivamente la Budget  effettuiamo una verifica scrupolosa con il nostro esperto Sandro, sia delle dotazioni di bordo, sia della conoscenza del mezzo, comprese prove pratiche di guida eseguite dai nostri due autisti ufficiali a tutti gli effetti, anche per le  responsabilità nei confronti delle polizie stradale e di frontiera. Per ultimo viene stabilita  la procedura di annotazione sul taccuino di bordo dei consumi, dei prezzi dei carburanti e delle distanze chilometriche.

Puerto  Montt dà l’impressione di essere  una città di frontiera adagiata al centro di un piccolo golfo. Certo, non divide due stati, ma divide due modi di vivere: verso nord quello di tipo occidentale, verso sud quello tipico patagone dei grandi spazi,  piccoli villaggi, pochi abitanti che vivono in semplicità, anche se spesso spartanamente nelle difficoltà. Insomma da qui in giù è tutto profondamente diverso.

…………Prima di lasciare la cittadina  assaporiamo  il piacere di vederla ancora assonnata alle 7,30 dalla piazza centrale, la Plaza des Armas, completamente vuota ed avvolta  nel silenzio, sotto un cielo plumbeo rischiarato appena da deboli infiltrazioni di luce dal  lato di levante del golfo. Una brezza leggera e fresca, ma non fredda ci accarezza.

Non resistiamo dal portare le ruote dei nostri pick-up sul primo chilometro della “Carretera Austral” che inizia proprio dalla Plaza de Armas in direzione est e poi subito a sud lungo il Pacifico. E qui, scattate le prime foto, ci  siamo resi conto in quel momento di essere finalmente entrati nel mondo magico della Patagonia. Ad un certo punto la “Carretera Austral” si interrompe a causa della morfologia del terreno che impedisce alla strada di continuare. Questa interruzione della Cattertera Austral deriva sia dall’orografia che rende difficoltoso il passaggio via terra, ma principalmente dal fatto che il territorio compreso tra le due località di imbarco e di sbarco, Hornopirén e Caleta Gonzalo, dall’oceano a occidente fino al confine con l’Argentina a oriente per un’ estensione di 320.000 ettari costituisce il Parco privato di Pumalin appartenente ad una ricchissima coppia nord-americana di industriali nel campo dell’abbigliamento sportivo: lui proprietario della “Nord Pool” e lei della “Patagonia”.

Questo parco, che ha sollevato molte critiche negli ambienti cileni, perché di fatto interrompe la continuità del territorio cileno, ha come obbiettivo quello di preservare estese aree di boschi di ambiente temperato umido. Ci sono solo alcuni sentieri che lo attraversano, previa autorizzazione della proprietà. Dobbiamo pertanto imbarcarci  su un traghetto per 5 ore e poi riprendere la “Carretera Austral” più a sud..

……….. Le prime due ore di navigazione ci hanno regalato immagini e scenari straordinari grazie alle montagne che circondavano Hornopiren, il porto d’imbarco. La navigazione è avvenuta nell’oceano Pacifico, di fatto oltre che di nome, perché siamo sempre stati ridossati, sebbene ad una distanza stimata di circa venti miglia, all’isola di Chiloè. Un’altra grande emozione ci è stata regalata nell’ultima mezz’ora di navigazione, di nuovo da un contorno di montagne irradiate dalla luce magica del tramonto dell’estate australe, una luce irreale che permane nel lento passaggio del sole fino al tramonto, sempre più lento via via che si prosegue verso sud. Nell’estremo sud dell’America Meridionale il sole tramonta verso le 23.00. Dopo lo sbarco a Caleta Gonzalo abbiamo ripreso la Carretera Austral percorendo a discreta andatura, vista l’ora tarda, una strada in ripio (sterrato in ghiaia) piuttosto stretta (circa 4 m.),  per 60 km arrivando nel golfo di Chaiten verso le 21,45 sotto un cielo stellato con l’oceano ricoperto da milioni di brillanti depositati sulla sua superficie dalla  luce riflessa della luna, una temperatura straordinariamente tiepida e nel silenzio più totale. Era già incominciata la cura disintossicante dalla vita irrequieta europea.

…….…..Quando arriviamo verso le 19.00 a Villa Cerro Castillio, un piccolissimo villaggio adagiato nell’ampia valle del Rio Ibañez circondato da catene montuose ancora innevate tra cui si elevano il Cerro Campana (2194 m), il Cerro sin Nombre (2250 m) e il Cerro Castillio (2318m) ci rendiamo conto di aver scoperto un angolo di Patagonia affascinante, un luogo magico.

Nell’hostal “Querencia” che in lingua mapuche significa “luogo dove sempre si ritorna” assaporiamo una pace ed una tranquillità che forse non avevamo mai provato e che ci inducono a straordinarie  conversazioni fino ad oltre mezzanotte incentrate sulle emozioni di questo ultimo giorno. Fuori faceva particolarmente freddo, il cielo era di un blu intenso rischiarato da milioni di stelle, l’aria straordinariamente limpida, il silenzio era totale. (Era il 20 Gennaio 2004. Non avremmo mai immaginato che ci saremmo ritornati il 19 Gennaio 2008 durante il nostro terzo viaggio!)

………. Entrati in Argentina e lasciata la cittadina, insignificante di Perito Moreno, dopo un’ oretta prendiamo la “Ruta 40” per raggiungere Tres Lagos fissata precedentemente come tappa per trascorrere la notte. Comunichiamo alla polizia che staziona all’inizio della steppa patagonica la nostra destinazione, perché richiestaci  e  poi diritto a sud verso il nulla sul “ripio”,  piuttosto polveroso.

Il secondo pick-up è costretto a seguirci a due/tre km di distanza per evitare di immergersi nella polvere. Superiamo durante il tragitto due camper che procedono a bassa velocità ed al sorpasso occorre seguire la regola patagone che prevede l’inizio del sorpasso almeno 3-400 metri prima, la riduzione della velocità ed il rientro dopo almeno mezzo km. per proteggersi dalla polvere a vicenda, ma soprattutto per evitare di lanciare  e di ricevere i sassi dello sterrato in ghiaia sui rispettivi parabrezza. Dopo aver percorso una ventina di km  abbiamo la prova di quello che Bruce Chatwin nel suo famoso libro “In Patagonia” descrivendo il suo viaggio in Patagonia trentatrè anni prima cita ”in Patagonia le strade nascono nel nulla, percorrono il nulla e finiscono nel nulla”

………. La piccola imbarcazione dopo un’ora attracca alla base del ghiacciaio Viedma, sull’omonimo lago, lato sinistro di un fronte di mezzo chilometro di ghiaccio e percorriamo mezz’ora di ripida salita   su un sentiero scivoloso per la presenza di rocce bagnate per la pioggia che  era caduta giusto al nostro sbarco.

Ci troviamo ora proprio sopra il ghiacciaio. Le giovani guide argentine ci aiutano uno per uno a calzare i ramponi la cui selezione per misura del piede era già avvenuta durante la traversata sul battello. Seguiamo quindi una lezione pratica di come salire, scendere o girarsi su se stessi sul ghiaccio; ci fanno le raccomandazioni necessarie di prudenza, ci dividono in due gruppi di una ventina di persone e l’ escursione sul ghiacciaio ha inizio. Il tempo muta continuamente: sole, pioggia, nuvole, sereno, freddo, freddo intenso, vento, vento forte. Noi eravamo bene attrezzati così come tutto il gruppo,  poiché l’abbigliamento ci era stato suggerito all’atto dell’ iscrizione all’escursione. Il trecking sul ghiacciaio dura circa due ore e termina con il brindisi con un bicchiere di Tia Maria (liquore al caffè)  raffreddato dal ghiaccio millenario sbriciolato con le piccozze. Che emozioni intense abbiamo vissuto, molte di queste immortalate in un DVD fatto per il nostro gruppo.

………..Lasciamo Punta Arenas tranquilli e rilassati per Punta Delgada, sempre sulla “ruta RH 9” (strada RH 9) che si dirige ora verso est, dove è situato l’imbarcadero (il molo) per attraversare lo Stretto di Magellano, in questo punto chiamato “Primera Angostura” (Prima strettoia). Nell’attesa prepariamo l’abbigliamento adatto per proteggerci dal forte e freddo vento, le cineprese e   le macchine fotografiche, decisi a stare sul ponte del battello nella parte più in alto disponibile. Si trattava per tutti di un evento importante, stavamo per realizzare il sogno dell’attraversamento dello stretto di Magellano.

………..Da qui in poi inizia la discesa in uno scenario di montagne e ghiacciai senza soluzione di continuità fino alle porte di Ushuaia, la “città alla fine del mondo” distesa sul Canale di Beagle, che desideriamo ammirare da un’altura prima di prenderne possesso. Erano le ore 14.00 di venerdì 30 Gennaio. Bellissima la cornice, ma le costruzioni degli ultimi anni hanno trasformato un villaggio di pescatori in una vera e propria  cittadina turistica. Ushuaia  si trova sul Canale di Beagle (largo 3-8 km.), quasi a metà tra i due Oceani, Pacifico ad ovest e Atlantico ad est. Ci troviamo a 54°52’20’’ di Latitudine Sud e 68°05’19’’ di Longitudine Ovest ed è il punto più a sud del mondo continentale, il più vicino al Polo Sud. Per questa ragione gli argentini affermano che Ushuaia si trova alla fine del mondo, dimenticandosi che al di là del   Canal di Beagle un poco più verso sud-est nell’Isola di Navarino ci stà la cittadina cilena di Puerto Williams (2500 abitanti), capitale della Provincia Antartica Cilena, costituita da un arcipelago di isole, essendo Navarino la più estesa e dalle terre antartiche cilene.

Diverse miglia più a sud c’è Capo Horn, punto geografico che  tutto il mondo conosce per le grandi difficoltà a doppiarlo almeno per undici mesi all’anno causa i forti venti, l’incrocio delle correnti dei due Oceani e  le alte onde che si infrangono diagonalmente rendendo la navigazione difficoltosa e spesso pericolosa. Effettuiamo una breve crociera di tre ore nel Canale con la piccola motonave Barracuda, un battello carico di storia costruito all’inizio del novecento. La nostra rotta è verso est  accostando la Isla de los Pajaros e la Isla de los Lobos; doppiamo il faro Les Esclaireurs, ritornando ad ovest  al porto di partenza. Cormorani, foche, leoni marini, elefanti marini ci circondano a centinaia. Affascinante ed emozionante la navigazione. Tempo in continuo mutamento, forti raffiche di vento, alti spruzzi da prua, freddo intenso e noi, ancora noi del gruppo coraggioso  ben bardati sulla prua del battello a filo dell’acqua dei due Oceani fortemente increspata, felici di aver raggiunto la nostra meta  tanto agognata quando ne parlavamo nella nostra lontana Italia.

MdL Sergio Vasconi

Febbraio 2011

MUST: IL MUSEO DEL TERRITORIO VIMERCATESE

Villa Sottocasa ospita dal mese di novembre 2010 il MUST, il Museo del Territorio Vimercatese. Un progetto ambizioso, che ha trasformato l’ala sud dello storico edificio di via Vittorio Emanuele non in una semplice esposizione permanente, ma in un vero e proprio centro di aggregazione, di promozione e di produzione culturale.

Il MUST racconta sì la storia e il passato della comunità di Vimercate e del Vimercatese, ma guardando anche al presente e al futuro. Le collezioni create e gestite dal museo si propongono di documentare le peculiarità culturali e naturalistiche del territorio vimercatese e puntano alla massima copertura in ambito tematico, cronologico e tipologico.
Ne fanno parte sia collezioni di oggetti materiali (beni archeologici, opere d’arte, beni storici, archivistici, tecnologici e etnoantropologici, fotografie, modelli ricostruttivi, diorami, mappe), sia collezioni di oggetti immateriali (immagini digitali, programmi interattivi e multimediali, video, registrazioni audio e musiche).

Le sale, quattordici in totale, suddivise su due piani, riescono ad unire il passato e il presente cittadino in modo efficace oltre ad essere di grande impatto visivo. Didascalie, schermi touch screen e video esplicativi aiutano il visitatore a districarsi fra la millenaria storia vimercatese: dalle origini romane, fino ad arrivare al recente passato industriale della Brianza di cui Vimercate è stata una dei centri pulsanti. La partenza è subito di grande impatto: nella prima stanza intitolata “Il mito delle origini” spiccano i reperti archeologici della Vimercate romana rinvenuti in piazza Marconi. Diverse le are romane, tra cui l’ara delle Matrone sulla quale si trova scolpito quello che è diventato il simbolo del museo.

Dopo l’antichità si passa alla Vimercate medievale: plastici del ponte di San Rocco, ma anche il monastero di Camuzzago, e la chiesa di Santo Stefano. Spicca il gruppo scultoreo con la Vergine col bambino, Santo Stefano e un santo guerriero, originariamente poste sulla facciate della chiesa di Santo Stefano e ora sostituite con una copia in gesso.

Un’intera zona è dedicata al primo sviluppo industriale, ancora molto rurale, della coltura del baco da seta e della nascita dell’industria tessile, che ha portato poi alla maturazione dei primi impianti industriali.

Il secondo piano dedicato al novecento ci ricorda alcune aziende storiche del territorio: IBM, Telettra , Pagani, PegPerego,  Colnago, ma anche aziende oramai scomparse come Bburago, Barbour Campbell, Bassetti e Gilera,. Si tratta di alcune delle più significative aziende che nel secolo scorso hanno popolato e ancora popolano il nostro territorio e che per ognuna di loro è stato esposto un prodotto significativo.

Se Vimercate è giustamente al centro del percorso espositivo, il vimercatese ha una parte non marginale nella rappresentazione del museo: le ville di delizia, la pieve del vimercatese, i reperti storici ma anche i prodotti della Brianza industriale ne sono un esempio.  Come è giusto che sia, il Must si presenta come la vetrina culturale non solo di Vimercate ma di tutto il territorio del vimercatese attraverso il quale veicolare la storia locale e sviluppare un possibile futuro turistico.

L’attività didattica concorre al raggiungimento delle finalità educative del Museo. Attraverso distinti programmi rivolti alle scuole, alle famiglie, alla comunità, il museo promuove la conoscenza del patrimonio culturale locale per vivere e abitare il territorio in modo più consapevole.

Alle scuole di ogni ordine e grado il museo propone attività didattiche che, mentre arricchiscono il percorso formativo degli alunni, aiutano a sensibilizzare i più giovani al rispetto e all’interesse per il patrimonio culturale locale.

Gli strumenti per le famiglie sono pensati per coinvolgere bambini e ragazzi durante la visita al museo e per fornire supporto ai genitori che desiderano guidare i propri figli nel percorso di visita.

Alla comunità sono dedicate visite guidate e incontri di approfondimento per conoscere il museo e il patrimonio locale nell’ottica di una continua e comune crescita culturale.

Il museo è aperto al pubblico cinque giorni la settimana, da mercoledì a domenica, ed è previsto l’ingresso a pagamento con tariffe differenziate per categorie di utenti.

Potete trovare maggiori dettagli sul sito del museo: www.museomust.it/drupal/

MdL Aldo Laus

I Re Magi, La Cometa e Brugherio

I Re Magi e la “stella cometa”

1° puntata

Il racconto di Matteo

Dei Magi si ha notizia nel Vangelo di Matteo, capitolo 2, versetti 1-12. Non vogliamo approfondire qui l’argomento sulla storicità dei Vangeli, ma a giudizio di specialisti aggiornati (Thiel), “nessun libro dell’antichità è stato a noi trasmesso con tanta accuratezza, abbondanza e antichità di manoscritti come il Nuovo Testamento”.

Attualmente sono conosciuti ben 4.680 antichi testi del nuovo testamento, tra cui una sessantina di papiri. Il frammento più antico di papiro il Papiro 52,anche detto papiro Rylands, è un frammento (89 per 60 mm) di un codice papiriaceo scritto in lingua greca, contenente frammenti del Vangelo secondo Giovanni (18,31-33 nel recto e 18,37-38 nel verso). È conservato assieme agli altri Papiri Rylands alla Biblioteca universitaria John Rylands di Manchester, Regno Unito.

Sebbene il Papiro 52 sia quasi universalmente considerato come il più antico frammento del Nuovo Testamento canonico, la precisa datazione di questo papiro non è universalmente condivisa; lo stile della scrittura suggerirebbe una datazione tra il 125 e il 160 d.C., ma le difficoltà nel determinare la datazione di un frammento su sole basi paleografiche ha fatto sì che siano state proposte sia datazioni anteriori al 100 che alla seconda metà del II secolo.

Nel 1956 è stato pubblicato il Papiro 66 che contiene per intero il Vangelo di Giovanni e che è datato alla seconda metà del II secolo.

Fa parte di una collezione costituita da una cinquantina di manoscritti in greco acquistati da Martin Bodmer. Il Papiro 66, conosciuto anche come Bodmer II, è un codice papiraceo in maiuscola.  Misura 15,2 x 14 cm e consta di sei fascicoli, di cui restano 104 pagine. E’ conservato presso la Biblioteca Bodmeriana a Cologny (nei pressi di Ginevra).
La scoperta del Papiro 66 rappresentò qualcosa di assolutamente nuovo, che si sarebbe ritenuto addirittura impossibile. Era il Vangelo di Giovanni in forma di vero e proprio libro, con alcuni piccoli danneggiamenti ai margini. Si potevano ancora vedere persino le cuciture dei fascicoli e alcuni resti di strisce di papiro usate a tale scopo. Comprende quasi per intero Gv 1-14 e frammenti dei capitoli seguenti. Il Papiro 66 costituiva un unicum non solo per lo stato di conservazione, ma anche per il testo. Soltanto questo papiro forniva la chiave per capire appieno  il testo del Nuovo Testamento nel II sec.

Per capire con quale inaudita autorità testuale si presenti il Nuovo Testamento, occorre osservare che per gli scrittori greci il tempo che intercorre tra stesura dell’originale e copia rinvenuta per esempio di uno scritto di Eschilo è di 1500 anni, per Platone di 1300 anni: per i Vangeli di solo 150 anni!

Ma torniamo al racconto evangelico di Matteo (che invitiamo a leggere).

La Stella

Non si è naturalmente raggiunta la certezza che le cose si siano davvero svolte come raccontato da Matteo, né si giungerà mai a questa sicurezza: è però certo che l’ipotesi che si tratti di un racconto simbolico deve fare i conti con una serie di scoperte effettuate nell’arco degli ultimi tre secoli. Pare intanto provato ormai scientificamente che gli astrologi babilonesi (quasi certamente i magi di Matteo) attendevano la nascita del “dominatore del mondo” a partire dall’anno 7  a.C. Questa data, con l’anno 6  a.C., è tra quelle che gli studiosi danno come più sicure per la nascita di Gesù. Il monaco Dionigi il Piccolo, infatti, calcolando nel 533  l’inizio della nuova era, si sbagliò e posticipò di circa 6 anni la data della Natività.

In questa luce, acquistano nuovo suono i due versetti del secondo capitolo di Matteo: “Nato Gesù in Betlemme di Giuda, al tempo di re Erode, ecco dei magi arrivare dall’oriente a Gerusalemme, dicendo:”Dov’è il re dei Giudei? Abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo”.

Ecco le tappe che avrebbero portato a chiarire il perché dell’arrivo e della domanda dei magi. Una vicenda che ha quasi il sapore di un “giallo”.

Nel dicembre del 1603 il celebre Keplero, uno dei padri dell’astronomia moderna, osserva da Praga la luminosissima congiunzione (cioè, l’avvicinamento) di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci. Keplero, con certi suoi calcoli, stabilisce che lo stesso fenomeno (che provoca una luce intensa e vistosa nel cielo stellato) deve essersi verificato anche nel 7  a.C. Lo stesso astronomo scopre poi un antico commentario alla Scrittura del rabbino Abarbanel che ricorda come, secondo una credenza degli ebrei, il Messia sarebbe apparso proprio quando, nella costellazione dei Pesci, Giove e Saturno avessero unito la loro luce. Pochi diedero qualche peso a queste scoperte di Keplero: prima di tutto perché la critica non aveva ancora stabilito con certezza che Gesù era nato prima della data tradizionale. Quel 7  a.C., dunque, non “impressionava”. E poi anche perché l’astronomo univa troppo volentieri ai risultati scientifici le divagazioni mistiche.

Oltre due secoli dopo, lo studioso danese Munter scopre e decifra un commentario ebraico medievale al libro di Daniele, proprio quello delle “settanta settimane“. Munter prova con quell’antico testo che ancora nel Medio Evo per alcuni dotti giudei la congiunzione Giove-Saturno nella costellazione dei Pesci era uno dei “segni” che dovevano accompagnare la nascita del Messia..

Nel 1902 è pubblicata la cosiddetta Tavola planetaria, conservata ora a Berlino: è un papiro egiziano che riporta con esattezza i moti dei pianeti dal 17  a.C. al 10 d.C. I calcoli di Keplero (già confermati del resto dagli astronomi moderni) trovano una conferma ulteriore, basata addirittura sull’osservazione diretta degli studiosi egiziani che avevano compilato la “tavola”. Nel 7  a.C. si era appunto verificata la congiunzione Giove-Saturno ed era stata visibilissima e luminosissima su tutto il Mediterraneo. Infine, nel 1925 è pubblicato il Calendario stellare di Sippar. E’ una tavoletta in terracotta con scrittura cuneiforme proveniente appunto dall’antica città di Sippar, sull’Eufrate, sede di un’importante scuola di astrologia babilonese. Nel “calendario” sono riportati tutti i movimenti e le congiunzioni celesti proprio del 7  a.C. Perché quell’anno? Perché, secondo gli astronomi babilonesi, nel 7  a.C. la congiunzione di Giove con Saturno nel segno dei Pesci doveva verificarsi per ben tre volte: il 29 maggio, il 1° ottobre e il 5 dicembre. Da notare che quella congiunzione si verifica soltanto ogni 794 anni e per una volta sola: nel 7  a.C., invece, si ebbe per tre volte. Anche questo calcolo degli antichissimi esperti di Sippar fu trovato esatto dagli astronomi contemporanei.

Gli archeologi hanno infine decifrato la simbologia degli astrologi babilonesi. Ecco i loro risultati: Giove, per quegli antichi indovini, era il pianeta dei dominatori del mondo. Saturno il pianeta protettore d’Israele. La costellazione dei Pesci era considerata il segno della “Fine dei Tempi”, dell’inizio cioè dell’era messianica. Dunque, potrebbe essere qualcosa di più di un mito il racconto di Matteo dell’arrivo dall’Oriente a Gerusalemme di sapienti, di magi, che chiedono “Dov’è nato il re dei Giudei?”. E’ ormai certo, infatti, che tra il Tigri e l’Eufrate non solo si aspettava (come in tutto l’oriente) un Messia che doveva giungere da Israele. Ma che si era pure stabilito con stupefacente sicurezza che doveva nascere in un tempo determinato. Quel tempo in cui, per i cristiani, il “dominatore del mondo” è veramente apparso.

Tutti i calcoli, da Keplero ai successivi scoperti sui documenti antichi, sono stati trovati esatti dagli astronomi nostri contemporanei. Il “mito” della stella non sembra mito, ma realtà.

I Magi ritornano al loro paese, mentre nella basilica, che sarà poi eretta a Betlemme, viene realizzato un mosaico che li rappresenta nel tipico costume persiano.

Quando nel 614 l’esercito del re persiano Cosroe piomberà a Gerusalemme saccheggiando e incendiando le chiese, i soldati, arrivati a Betlemme, risparmieranno la basilica che reca il mosaico rappresentante i loro connazionali.

I Re Magi e Brugherio

2° puntata

Le notizie dei Magi si perdono fino a quando negli anni dopo il 313, Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino fa cercare le tombe dei Magi. Con i potenti mezzi della madre di un imperatore trova e trasferisce le loro spoglie dall’Oriente a Costantinopoli, nella basilica di Santa Sofia, poi trasformata in moschea ed oggi museo.

Nel frattempo Eustorgio, alto funzionario dell’impero, viene nominato governatore di Milano. E’ così benvoluto che i milanesi lo vogliono vescovo alla morte del vescovo Protaso nel 343. Il Papa accetta, ma Eustorgio, che è un funzionario imperiale, si reca prima a Costantinopoli per chiedere il consenso. L’imperatore Costante (figlio minore di Costantino che alla morte del padre nel 337 aveva avuto il governo dell’Impero Romano d’Occidente con capitale Milano) gli riconosce la nuova dignità ecclesiastica e gli dona le spoglie dei Magi da portare a Milano. E così intorno al 343 le spoglie arrivano a Milano. Vengono poste in una chiesa, che con successivi ampliamenti diventerà l’attuale Basilica di S. Eustorgio (così chiamata perché poi vi fu sepolto il santo vescovo alla sua morte).

Nel 374  a Milano viene mandato, come governatore, Ambrogio (romano nato nel 340  a Treviri in Germania dove il padre era alto funzionario dell’Impero).

Ad Ambrogio avviene quel che era avvenuto ad Eustorgio. Mentre vi sono tumulti con gli eretici ariani, Ambrogio scioglie la tensione, parla con tale saggezza che la gente lo acclama vescovo. Riceve i sacramenti da Simpliciano e la consacrazione a vescovo da San Limenio, vescovo di Vercelli. Siamo nell’autunno del 374.

Ambrogio ha un fratello, Satiro, che muore nel 378 e diviene santo, e una sorella, Marcellina, alla quale dona una villa di campagna (l’attuale cascina Sant’Ambrogio in Via dei Mille a Brugherio, oggi trasformata in un complesso di appartamentini con un cortile rettangolare interno che da l’aspetto del classico cascinale lombardo) dove Marcellina, consacratasi a Dio già da molto tempo, si ritira con alcune consorelle creando un piccolo convento.

Una piccola parte delle spoglie dei Magi (le ossa di tre falangi) è donata a Marcellina (tra il 374 ed il 397) dal fratello Ambrogio e custodita in una nicchia di un locale accanto all’attuale chiesetta di Sant’Ambrogio, tuttora esistente sulla sinistra della cascina.

Ambrogio muore il 3 Aprile 397, venerdì santo, e Marcellina tre mesi dopo, il 17 Luglio, sembra proprio nella villa di campagna, nel frattempo trasformata in convento. Le spoglie dei tre santi fratelli sono riunite dal nuovo vescovo Simpliciano (e sono tutt’ora visibili nella cripta sotto l’altare della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano).

Da vecchie pergamene, custodite nelle case madri degli ordini religiosi succedutisi nella villa-convento brugherese, prima della trasformazione in cascina, spuntano notizie sulla venerazione delle reliquie.

Nel 1578 San Carlo Borromeo, erigendo la parrocchia di San Bartolomeo a Brugherio, dedica la chiesa, oltre che al santo martire, anche ai tre santi Magi, segno che non si era ancora spenta la devozione. Nel 1604 il cardinal Federico Borromeo, in visita a Brugherio, si reca a onorare e far ricognizione alle reliquie dei Magi alla cascina Sant’Ambrogio.

Il 22 aprile 1613, come risulta da un documento dell’archivio parrocchiale, si decide di portare le reliquie dei Magi in luogo più consono e il 27 maggio 1613 le stesse vengono portate nella chiesa brugherese. Traccia del tragitto rimane nell’intitolazione antica della via Tre Re , via che collega la Via dei Mille dove è ubicata la cascina Sant’Ambrogio con la piazza Roma dove è ubicata la  Parrocchia di San Bartolomeo.

Qualche anno dopo verrà realizzato il bellissimo reliquario d’argento, con basamento barocco, che ancora ospita le falangi dei Magi, visibili da una teca, (una sorta di oblò di cristallo) incastonate nel petto di tre statuette di finissima fattura. Le statue sono piccole ed i brugheresi le hanno sempre chiamate “i umit”, gli omini.

Ma se i viaggi di queste piccole parti delle spoglie dei Magi si concludono a Brugherio, ben altra sorte subiscono i resti custoditi in S. Eustorgio.

L’imperatore Federico Barbarossa, dopo aver messo a ferro e fuoco Milano, decide di accontentare il suo cancelliere Rainaldo Von Dassel che sovraintende all’assedio (e che è arcivescovo scomunicato di Colonia) il quale vuol portare via le spoglie dei Magi. Le cerca invano nella chiesa di S. Eustorgio, perché nel frattempo (1161) i milanesi le avevano nascoste nella chiesa di S. Giorgio al Palazzo (nell’attuale omonima piazza in Via Torino a Milano), ma alla fine le trova. Non si accorge evidentemente che sono mancanti di alcune piccole parti (quelle brugheresi) e fa trasportare i resti nel giugno del 1164 a Colonia, con un trionfale viaggio di 14 giorni, passando per Vercelli, Torino, Passo del Moncenisio, Lucerna, Grammont, Brisach, Remagen, Bamberga, Magonza, Colonia.

Qui vengono messe nella chiesa di S. Pietro Apostolo, che viene ampliata e fatta diventare il magnifico duomo della città. Inizia un grande afflusso di pellegrini, tanto che la sua consistenza è la quinta al mondo dopo Gerusalemme, Roma, Santiago de Compostela, Aquisgrana. Lo stemma della città di Colonia diventa uno scudo con tre corone su manto di ermellino,  mentre il sigillo della locale Università raffigura i tre Magi.

Nei secoli seguenti Milano fa diversi tentativi per riavere le spoglie dei Magi. Nel 1500 Ludovico il Moro con l’appoggio di Papa Alessandro VI,  poi nel 1675 il cardinale Alfonso Litta. Inutilmente. Fin quando, nel 1909, il cardinale Andrea Ferrari, arcivescovo di Milano, riesce a farsi restituire alcune ossa, riportandole in S. Eustorgio, nell’antica bellissima cappella.

Nel 1979 vengono eseguite alcune analisi della stoffa nella quale sono avvolte le spoglie nell’urna e rivelano essere una stoffa databile tra il II e IV secolo: proprio l’epoca di S. Elena.

Se in Oriente le reliquie dei Santi Magi soggiornarono un paio di secoli, a Costantinopoli pochi decenni, a Milano circa 8 secoli (e poi, ancora, un altro secolo seppure per solo parte delle spoglie), a Colonia 8 secoli e mezzo, a Brugherio (seppure piccole reliquie) bel 16 secoli e mezzo ininterrotti. Brugherio può quindi definirsi la vera località di “residenza” delle reliquie di questi personaggi, grandi viaggiatori sia da vivi che da morti.

A Brughero è ancora viva la devozione ai Magi, tanto che il 6 gennaio, giorno dell’Epifania, il reliquario viene esposto sull’altare maggiore della chiesa di S. Bartolomeo, alla venerazione dei numerosi fedeli, provenienti anche dai paesi vicini (nel passato arrivavano veri e propri pellegrinaggi da molte località). I brugheresi ancor oggi dicono: “Amdem a basà i umitt”, andiamo a baciare gli ometti.


Non si sa se i Magi fossero solo tre (il Vangelo narra di “alcuni magi”, ma poiché i doni portati sono tre e le spoglie trovate da Elena sono tre, la tradizione ne tramanda il numero e ne ipotizza i nomi in Baldassarre, Melchiorre, Gaspare (nomi italianizzati).

CONCLUSIONI:

  • Una tradizione non può nascere dal nulla.
  • San Carlo Borromeo, che ha conosciuto e visitato per tre volte tutte le parrocchie della diocesi, rimuovendo con severità abusi, superstizioni e ignoranza, non credo abbia inseguito una favola circa le reliquie brugheresi quando, erigendo la Parrocchia di Brugherio nel 1578 l’ha dedicata a San Bartolomeo e ai tre Magi per via appunto delle reliquie (che il successore cardinale Federico Borromeo farà poi trasportare dal Convento di Sant’Ambrogio, ora ex-cascina restaurata in Via dei Mille).
  • Ad ogni modo in questa, come in altre vicende, c’è sufficiente luce per credere e sufficiente buio per non credere. Siamo liberi di decidere, magari ascoltando anche il cuore

MdL Sergio Augusto Vasconi

Dal Consolato Provinciale di Milano

Abbiamo il piacere di ospitare il Notiziario di Novembre 2010 del Consolato Provinciale di Milano che ha finalmente ripreso la pubblicazione. I migliori auguri agli amici di Milano per continuare questa attività.

Per vedere il notiziario in formato Pdf cliccare il link qui sotto:

Notiziario Nov. 2010 del Consolato Prov. di Milano

L’AVVENTURA DEL “GRONCHI ROSA” – Cronaca e realtà vissuta

3 Aprile 1961 – Il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi si appresta a rendere visita ai Paesi del Sud America, seconda Patria per molti italiani immigrati sin dalla fine del 1800 e in particolare verso Argentina, Uruguay e Perù. Per l’occasione, viene organizzato il trasporto speciale di aerogrammi affrancati, come da tariffa,  con francobollo di £ 170 di colore verde per l’Argentina, £ 185 di colore azzurro per l’Uruguay e £ 205 di colore rosa lillaceo per il Perù (v. foto 1).

Foto 1

Malgrado il giorno festivo, il 3 aprile (lunedì di Pasqua), gli sportelli filatelici rimangono aperti per dare avvio alla vendita dei francobolli che si protrae per tutta la giornata e per ricevere gli aerogrammi. Per inciso, il sottoscritto, che all’epoca presta servizio militare ed è in licenza a casa a Milano, si reca alla Posta Centrale e affronta la lunga coda per l’acquisto della serie piuttosto costosa per l’epoca (una lettera si spediva con £ 30 !). Nessun problema di distribuzione, chiunque può acquistare quante serie desideri, anche perché la tiratura si dice sia superiore al milione di esemplari.

Ma, nella notte fra il 3 e il 4 aprile l’Ambasciata del Perù a Roma inoltra una nota di protesta che rischia di provocare un incidente diplomatico, a seguito dell’errato disegno dei confini dello Stato del Perù che risulta mancante del cosiddetto “triangolo amazzonico” da secoli conteso all’Ecuador ma attribuito al Perù da due decisioni della Corona Spagnola e occupato dall’esercito peruviano nel 1941. Oltre a ciò, la Conferenza tenutasi nel 1942 a Rio de Janeiro, attribuisce quell’area di foresta pluviale al Perù anche se l’Ecuador avanza pretese e, a sua volta, l’anno successivo emette una serie di francobolli dedicata all’Amazzonia  assegnando quella parte contesa al Proprio Paese.

Nella notte stessa viene diramato un telegramma urgente di servizio a tutte le Direzioni provinciali delle Poste con l’ordine di ritiro dalla vendita del valore da £ 205 di colore rosa (v. foto 2)

Foto 2

e con la ricopertura dei francobolli già applicati sugli aerogrammi, con un nuovo valore opportunamente rettificato e di colore diverso, appunto, grigio, che si rese disponibile il giorno dopo, 5 aprile e in vendita dal 6 aprile (v. foto 3).

Foto 3

Quello del Gronchi rosa è l’unico caso al mondo di un francobollo emesso, ritirato dalla vendita e ricoperto su buste già affrancate (v. foto 4).

In merito alla rarità di questo francobollo, un vero giallo filatelico, molte cose sono state scritte in questi quasi 50 anni, storie, pettegolezzi, notizie che ognuno ha dato per certe, presunti accumuli lentamente  immessi sul mercato, fantasie. Alcune possono apparire credibili, altre sono talmente fantasiose da far sorridere, certo è che il mistero che aleggia intorno a questo francobollo ha creato nel tempo una fatale attrazione al punto da far dimenticare perfino dei fatti reali che hanno fatto lievitare il suo valore fino all’attuale valore di catalogo di € 1.900,00.

E io, un fatto reale ve lo propongo : all’epoca ero abbonato alla Rivista “Il Collezionista – Italia Filatelica”, edita da Bolaffi, nome prestigioso della filatelia italiana e mondiale, e quindi assolutamente affidabile e credibile. In considerazione dell’eccezionalità dell’evento di cui sopra, nell’intento di favorire l’abbonato, l’editore aveva istituito un documento denominato “Flash” che veniva inviato a domicilio per informare in anteprima su fatti e avvenimenti di rilevante importanza. La foto 5 vi dà una chiara esposizione dei fatti rilevati e noti al momento : ma non al collezionista(che può essere disinformato), non al piccolo negoziante (che vive di notizie di riflesso), non al circolo filatelico (che non ha i mezzi di approfondimento necessari), non al singolo Ufficio Filatelico Provinciale (che ha una visione molto parziale dell’accaduto) bensì al massimo esperto di settore che ha il potere di dialogare anche con la Direzione Centrale delle Poste e i mezzi per raccogliere notizie certe il momento in cui sono ancora fresche e non manipolate.

Il documento Flash dichiara che “I francobolli da 205 lire venduti durante la giornata del 3 aprile sarebbero 210.000 (buona parte usati per l’affrancatura degli aerogrammi);  la tiratura totale dovrebbe essere inferiore al milione. L’aereo presidenziale avrebbe trasportato in tutto 315 kg. di posta: considerando il peso di ogni aerogramma di 4 gr. circa, le buste trasportate dovrebbero ammontare approssimativamente a 80.000, Il 50% circa degli aerogrammi erano indirizzati in Argentina mentre quelli per l’Uruguay supererebbero di poco il 25%”

Quindi, ricapitolando :

- Buste affrancate con il francobollo da £ 170 per l’Argentina : 40.000

- Buste affrancate con il francobollo da £ 185 per l’Uruguay   : 20.000

- Buste affrancate con il francobollo da £ 205 (rosa) per il Peru :  20.000

- Francobolli venduti :  210.000 meno i 20.000 utilizzati per affrancare gli aerogrammi =  190.000

Peraltro il Catalogo Sassone, da sempre riconosciuto indipendente da possibili manovre di mercato, fino alla sua edizione del 1967 asseriva che risultavano venduti 210.000 esemplari (concordando quindi con quanto asserito dal Flash di Bolaffi), nelle edizioni fino al 2000 riportava una dichiarazione del Ministero delle Poste che fissava la vendita in circa 80.000 esemplari e, definitivamente, nell’edizione del 2003 dichiarava ufficiale da parte del Ministero il venduto di 70.625 esemplari.

Perché ? perché ? perché ?

Certo è che se la tiratura fosse di 210.000 esemplari, il valore del francobollo si aggirerebbe intorno ai 180-200 €, visto che la serie dei Giochi Ginnici del 1951, venduta in 226.835 esemplari è quotata 120 € di catalogo. E allora sorgono i dubbi ! A chi credere, a Bolaffi che da cronista dei fatti dell’epoca riportava la quantità reale oppure a chi nel frattempo aveva potuto entrare in possesso di fogli interi trafugati dopo la richiesta di rinvio alla Sede Centrale delle Poste ?

Il “mistero”, uno dei tanti dell’Italia repubblicana, resta ancora. Per quanto mi riguarda il mio “Gronchi rosa” acquistato a 205 lire la mattina del 3 aprile 1961, lo vendetti nel mese di maggio dello stesso anno a 9.000 lire e con quel denaro, essendo militare e affamato per la scadente qualità del rancio in caserma, ottenni 30 pasti in una graziosa trattoria del novarese. Bella decisione che non ho mai rimpianto. Per non apparire però così prosaico, posseggo però la busta viaggiata di cui alla foto 4.

Amici collezionisti, se avete qualche storia filatelica da raccontare, scrivetemi.

MdL Umberto Seclì

Il Maestro del Lavoro Renato Franchi racconta

Nato a Sesto S. Giovanni nel 1928, Renato Franchi risiede a Desio dal 1967 e rappresenta un tipico esempio di lavoratore capace di dare il proprio geniale contributo all’attività produttiva, tanto da arrivare a coordinare le scelte di pianificazione aziendale.

Dopo le elementari ha frequentato un corso di avviamento professionale con indirizzo commerciale e a 14 anni è stato assunto dalla Ernesto Breda di Sesto S.  Giovanni come allievo della scuola con indirizzo industriale. Successivamente ha frequentato il primo biennio di ragioneria.

Nel 1947 passa, in qualità di impiegato alla Ercole Marelli di Sesto occupandosi dell’avanzamento e gestione ordini e successivamente del coordinamento produttivo a livello aziendale. Nel 1958 viene promosso capo Gruppo e coordina 4 impiegati.Tre anni dopo Fiat Auto S.p.A. di Desio lo assume come impiegato per l’elaborazione di preventivi sulle modifiche tecniche del prodotto. Successivamente predispone un sistema di controllo delle capacità produttive di un settore dello stabilimento e nel 1970 è promosso a capo ufficio con 11 impiegati e 60 operai alle sue dipendenze.

In questo ruolo si occuperà della gestione dei materiali e della pianificazione della produzione.

Il pensionamento avviene nel 1983 e la nomina a MdL nel 1984. La stella d’oro del nostro Consolato gli viene conferita nel 2009.

E’ molto interessante anche l’impegno nel sociale di Renato che dal 1977 lo vede coinvolto come cofondatore del Gruppo Sportivo S. Francesco di cui diventerà tesoriere e responsabile “public relations”. E’ anche  impegnato come amministratore di una famosa chiesetta di Desio che avrebbe dovuto diventare la futura sesta parrocchia con gestione autonoma, ma in attesa dell’evento continua ad essere gestita con autonomia economica e propositiva sotto l’egida del prevosto da un gruppo di laici di cui Renato è il riferimento per i collegamenti col parroco.

Franchi  da 22 anni collabora anche alla realizzazione del Palio degli Zoccoli, la rievocazione storica della battaglia di Desio del 1277, che vide l’inizio della dinastia dei Visconti alla guida del Ducato di Milano. Al palio partecipano undici contrade: Renato è maestro della contrada Prati. Le contrade prendono ispirazione dalle corporazioni esistenti nel borgo di Desio all’epoca della battaglia e sfilano per le vie della città in un corteo composto da oltre settecento figuranti in abiti storici. Non è mancata la sua collaborazione con il  Consolato MdL di cui è stato responsabile per le attività nelle scuole medie per due annate dal 1984 al 1985.

Renato è particolarmente orgoglioso della sua famiglia e rappresenta una figura di riferimento per i figli il cui successo è secondo lui da attribuire alla moglie Rosanna, che ha perso da 14 anni. Ha tre figli: Claudio, il maggiore laureato in filosofia che gli dato tre nipoti, Emma, medico pediatra con altri tre nipoti e Sergio laureato in giurisprudenza con una nipote.

Infine ho scoperto che è tifoso dell’Inter, anche se nel cuore sin da quando era ragazzo ha sempre avuto la Pro Sesto, per la quale era attivo nella segreteria nel 1949.

Il suo motto? : L’esempio vale più della parola.

MdL Aldo Laus

Il Maestro del Lavoro Lino Brambilla racconta

Lino Brambilla, classe 1931, ha sempre vissuto in Brianza. Compie i sui studi all’Istituto Commerciale di Besana Brianza e poi alle serali per la specializzazione di quella che è la sua passione: disegnatore progettista. Nativo di Missaglia a 13 anni comincia a lavorare a Carnate nel filatoio e tessitura della Società Bernardo e Lorenzo Banfi, soggiornando in un convitto da cui rincasava una volta al mese. In quell’azienda dopo un anno di tirocinio, se meritevoli, i giovani venivano mandati nelle sedi esterne in Calabria o a Vittorio Veneto. Il padre di Lino però si oppose e lo reclutò come aiutante nel suo negozio di merceria. Il suo lavoro consisteva nel girare in bicicletta fra varie località e cascine sparse nei dintorni con un  assortimento di merce da proporre ai clienti. Questo lavoro, anche se remunerativo non gli piaceva. Un giorno, mentre parlava  con un amico davanti alla Garelli, uscì il proprietario che essendo  solito selezionare nuove maestranze in modo informale,  direttamente in strada,  dopo un breve  colloquio lo assunse immediatamente. Quel giorno stesso si fermò in azienda e iniziò subito a lavorare. Il padre, non vedendolo tornare e preoccupato andò a cercarlo negli ospedali di Merate e Besana. In Garelli iniziò a lavorare sulle alesatrici per fabbricare gli sterzi per le bici ma poi, col diploma delle scuole professionali fu spostato in attrezzeria dove dopo due anni di apprendistato ne diventò il responsabile per i dodici anni successivi. La sua attività comprendeva la distribuzione dei disegni e dei materiali per torni e frese e la realizzazione di corsi professionali interni. Alla scomparsa del titolare nel 1964, passò alla società Simmenthal di Monza dove sarebbe restato fino al 1987 anno del pensionamento. In questa azienda Lino dà il massimo di sé sviluppando grazie al suo estro per la creazione innovativa nuove macchine per migliorare il processo produttivo, realizzando diversi brevetti e introducendo meccanismi pneumatici d’avanguardia nei macchinari. Nel 1989 viene nominato Maestro del Lavoro. Lino, già attivo nel volontariato con la creazione di una associazione a favore dei disabili è  spinto dalla volontà di  trasmettere positività, laboriosità e iniziativa. E’ anche volontario per la Nostra Famiglia di Ponte Lambro. In Dicembre 2009 riceve la medaglia dal Consolato Provinciale di Monza e Brianza che premia il suo impegno come membro del Consiglio nei primi quattro anni di attività.

E’ felicemente sposato con Giuseppina Tassanelli che era sua collega in Garelli dove lavorava come interprete. Ha avuto tre figli e due nipoti.

I suoi hobbies sono l’enigmistica, la lettura di libri, il disegno tecnico. Ama giocare a carte e a bocce, ma quello che più lo appaga è poter trasferire agli altri la sua esperienza e il modo di comportarsi nella vita.

MdL Aldo Laus

Il Maestro del Lavoro Francesco Casati racconta

Da vero manager Francesco Casati si è presentato all’incontro per l’intervista puntuale, elegante e con il suo curriculum in mano. Classe 1937, nato a Besana Brianza dove la famiglia ha le sue radici, la storia della sua vita è un classico per i MdL: erano 5 fratelli e anche lui è stato costretto a lavorare giovanissimo per dare un aiuto economico: di giorno lavorava come operaio al salumificio Vismara di Casatenovo e di sera studiava. La sua passione per lo studio e soprattutto i risultati  conseguiti non passarono inosservati al segretario della scuola che lo segnalò alla società Alfa Laval. Così Francesco, dal 25 Febbraio 1952 inizia la sua esperienza nella sede italiana di Milano di questa prestigiosa multinazionale svedese specializzata nel progetto e realizzazione di soluzioni basate su tre tecnologie chiave: scambio termico, separazione e movimentazione dei fluidi. Assunto come operaio con la responsabilità di magazziniere, già nel Luglio 1953 ottiene la qualfica di impiegato nella Divisione Agricoltura e si occupa di fatturazione, corrispondenza e acquisti. Poi dal 1956 gli viene affidata la responsabilità degli acquisti di alcune categorie merceologiche finchè, dopo essere passato a vice capo ufficio acquisti  e responsabile gestione personale , ne diventa il capo ufficio nel 1967. Ma è dal 1968 che gli viene affidata una missione speciale di grande impegno che lui ricorda con particolare soddisfazione per i risultati riportati: la stipula di tutti i contratti ed il coordinamento dei lavori per la costruzione della nuova sede di Monza. Questo importante impegno, affrontato con un grande entusiasmo, gli ha consentito di risolvere brillantemente problemi insiti in una attività  che esulava dalle sue mansioni e che gli è poi valsa il conseguimento della Dirigenza nel 1974. Fino al Dicembre 2007 la sua carriera registra un crescendo di responsabilità: da  Luglio 1983 è responsabile del progetto Alfa Laval/ Centrale del Latte di Roma, uno dei più grandi progetti in Europa in questo campo. Nel Maggio dello stesso anno gli viene conferita la Stella al merito del lavoro.  Dal 1992 al 2008 è nominato consigliere di amministrazione,  dal 1995 è anche membro della funzione “Acquisti Internazionali”dell’Alfa Laval AB di Tumba (Svezia) per stipulare e gestire contratti di acquisto internazionali per le sedi di Svezia e Italia. Per finire, dal 1996  è componente del servizio di prevenzione e protezione nell’ambito di Alfa Laval SpA a Monza. Francesco ama scherzare e riassume il periodo di lavoro in Alfa Laval con una battuta: ci sono restato per 55 anni, 10 mesi e una settimana.

Nel Dicembre 2003 riceve la targa in occasione del 20° di anzianità associativa dalla Federazione MdL Consolato di Milano- Delegazione di Monza e Brianza. Come ulteriore soddisfazione nel 2008 riceve la stella d’oro che il Consolato Provinciale di Monza e Brianza assegna agli iscritti con 25 anni di fedeltà associativa.  E’felicemente sposato dal maggio 1963 con Luigia Pennati, anche lei di Besana Brianza,  conosciuta all’asilo e insieme hanno frequentato le elementari. Hanno un figlio, Carlo, laureato in fisica che ha ereditato dal padre la passione per la montagna.

Francesco ha praticato diversi sport fra cui il ciclismo a livello amatoriale , spesso in solitaria, con la sua bici Passoni. Poi c’è la montagna (è socio CAI da più di 50 anni)  dove, nei mesi estivi, ama fare escursioni ai rifugi della Val Masino, località che frequenta da circa 40 anni. E viste le attitudini sportive, gli ho chiesto: come siamo messi col calcio? Risposta: Siamo messi seduti sugli spalti a soffrire e gioire per i colori nero azzurri dell’Inter!

Mdl Aldo Laus

Il Maestro del Lavoro Tarcisio Melzi racconta

Tarcisio viene da una famiglia monzese DOC da oltre due secolio e nasce a Monza nel 1925. A 14 anni entra nel mondo del lavoro a Sesto S. Giovanni presso gli stabilimenti della Breda Fucine percorrendo, attraverso tutto il percorso da garzone, operaio, impiegato, capoufficio una carriera incredibile caratterizzata da una fortissima volontà di riuscire che l’ha portato passo dopo passo a raggiungere i suoi obiettivi. Ha lasciato l’attività lavorativa in Maggio 1977.

Ma l’avventura della sua vita ha dell’incredibile quando scopriamo che diciannovenne, nel 1944 fu catturato ingiustamente dalle squadre fasciste, subì un processo sommario a Milano,  condannato a 18 mesi con la condizionale e consegnato ai tedeschi che lo deportarono a Dachau in Germania. All’epoca era il più giovane deportato e rimase in quel campo ai lavori forzati per un mese. Successivamente fu trasferito a un campo lager di Norimberga dal quale usciva giornalmente per lavorare alla Siemens. Finalmente nel Maggio 1945 riesce a rientrare in Italia col fisico provato ma con tanto desiderio di riprendere la vita normale. Quindi nello stesso mese di Maggio riprende a lavorare alla Breda, nei settori Tubi e Valvole per i pozzi petroliferi e macchine industriali per mulini, e al tempo stesso decide di iscriversi alle scuole serali. Il percorso è ambizioso ma Tarciso ama le sfide: tre anni di scuola di disegno meccanico alla scuola serale della Villa Reale, poi le tre commerciali alla Cardinal Ferrari e infine i cinque anni di ragioneria fatti in tre anni .

Viene nominato Maestro del Lavoro nel Settembre 1977 e nel 2002 riceve la Stella d’oro per i 25 anni di appartenenza all’Associazione  e l’encomio del Comune di Monza. Tarcisio è anche uno sportivo tenace: dal 1960 al 1971 ha giocato a tennis nel Gruppo Breda e poi ha scoperto il gioco delle bocce che è ancora il suo passatempo attuale. Nel 1964 ha fondato la Bocciofila SS. Giacomo e Donato a Monza di cui è stato il primo presidente.

L’altra grande passione che ha dato grandissime soddisfazioni a Tarcisio è la sua splendida famiglia. Dalla consorte Luisa ha avuto tre figli: Aldo professore di scienze al liceo, Edoardo professore di italiano e religione e Maria Luisa “Mimmi” pediatra al S. Gerardo di Monza.

E proprio quest’ultima gli ha regalato tre splendidi nipoti: Anna, Lucia e Carlo.

Per completare questo bel quadro non poteva mancare un piccolo pettegolezzo: Tarcisio è un tifoso della Juve e qualcuno ci ha confidato che quando questa perde, lui per quel giorno digiuna!

MdL Aldo Laus