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GIUSEPPE LISJAK: UNA VITA IN SELLA ALLA BICICLETTA

Con i suoi successi, le sue imprese e vittorie ha fatto scrivere e pubblicare molti pezzi sulle pagine sportive.

“I miei genitori vivevano in un piccolo paesino in campagna” racconta il ciclista friulano – 84 anni portati brillantemente – “e io per andare a scuola a Udine dovevo macinare i km: 70 all’andata e 70 al ritorno, spesso in bicicletta”.

Giuseppe Lisjak si ritrova lì, oltre i mitici ottanta, che non sono più gli anni della giovinezza, della maturità atletica, ma di un uomo che ha raggiunto un importante traguardo di vita e lo fa con apparente leggerezza ma anche con garbo e una certa ironia nel raccontare la sua vita.

In un caldo pomeriggio di luglio incontro per fare due chiacchiere quello che oggi è un distinto pensionato ma che, nei lontani anni 60 era un asso del ciclismo.

Una delle famose volate di Lisjak

Sign. Giuseppe, ha cominciato subito ad andare in bicicletta?

Assolutamente si, subito fin da bambino come tutti, anche se a gareggiare seriamente ho cominciato solo a 16 anni, prima non potevi.

Se la ricorda la sua prima bicicletta?

Certamente. Non era una normale bici da corsa, bensì una vecchia bicicletta di mio zio, una Alcjon del 1912 .

Mi potrebbe raccontare la gara vinta più importante della sua vita?

È impressa nella mia memoria perché a fine gara venni squalificato, seppur per poche ore!

Accadde tutto nel lontano 1952 quando i triestini organizzarono una grossa competizione invitando tutte le nazioni che avevano combattuto nell’ultimo conflitto mondiale: in totale più di 35 paesi. Molti tuttavia non vennero, come i tedeschi e i giapponesi.

All’epoca avevo appena vent’anni e mi ero iscritto come sloveno grazie alle mie origini da parte di mio padre. Purtroppo, una volta arrivato a Ronchi dei Legionari, la città di partenza, mi vidi consegnare il numero 297. Ciò voleva dire che sarei stato nelle ultime file. Non ci pensai troppo e decisi di allocarmi davanti ma fuori dal tiro dei fotografi che avevano occhi solo per il campione olimpico, quello Italiano, quello mondiale e quello svizzero che occupavano la prima fila.

Nessuno passò a controllare e quindi partimmo. Ecco però che verso metà della gara accade quella che è la paura più grande di ogni corridore: bucai la ruota posteriore. Quando ormai pensai di non farcela per colpa di una sfortuna successe l’impensabile: tra il pubblico c’era un mio compagno di scuola con una bicicletta simile alla mia e mi passò la sua ruota tirandomi fuori da un bel guaio. In men che non si dica la sostituii con la mia e ripartii a tutta velocità. Il resto è scritto sui giornali, tagliai il traguardo davanti a tutti.

Come ho detto all’inizio, venni squalificato soprattutto per non avere usato il casco protettivo, e per il fatto di aver cambiato la ruota a metà della gara, tutte cose contro il regolamento. Tuttavia, dopo coloriti diverbi tra la mia squadra e la giuria, fui premiato e reinserito in classifica quale vincitore.

Come si è sentito dopo una vittoria tanto importante?

Molto felice e orgoglioso. Non pensavo che sarei mai arrivato primo, era tutto il mondo dei migliori che avevo sfidato. Vinsi e fui proprio contento. Mi feci anche un pensierino: la partecipazione alle Olimpiadi di Helsinki.

E che mi dice invece della gara da lei vinta più bella?

Facile ricordare anche questa, perché fu la prima in assoluto per me. Avevo sedici anni e mi trovavo a Sacile durante il mese di agosto. In quel periodo c’era un’importante fiera di canto degli uccelli per la quale vengono un po’ da tutto il mondo. Gareggiavo nella categoria allievi ed era una 60 km. Me la ricordo bene perché rischiammo di non partire: servivano minimo sedici ciclisti e noi eravamo meno. Così io e un altro ragazzo, che avrebbe poi corso insieme a me, andammo in giro per i paesi del circondario a reclutare persone. Alla partenza eravamo in 64 e arrivai primo. Premio una medaglia e L. 500,00

L’ha vinta con fatica questa prima gara?

Chi fa le cose volentieri non sente né fatica né sudore.

Quando inforca oggi la bicicletta ripensa spesso a quei bei tempi di gare e vittorie importanti passati?

No, non ci penso. Sembra strano ma è così. Anche perché non conservo nessun ricordo materiale di quelle vittorie. Era il giornalaio infatti che metteva fuori dal suo negozio il ritaglio importante per il paese e quello rimaneva lì fino a che non si logorava e si consumava. Invece, appena ho potuto correre qui nella Brianza, sono andato a caccia di tutti i giornali che riportavano il mio nome, ne ho raccolti un bel pacco.

Quante vittorie può contare?

Quando ero giovane sono arrivato 43 volte primo.

Mi sono poi fermato una decina di anni, il tempo di mettere su famiglia, fare carriera all’Autobianchi.

Dopo di che mi sono rimesso in sella. Il richiamo delle gare è stato forte e ho ricominciato vincendo subito alla prima apparizione e collezionandone poi altre 241 con 17 titoli di campione che vanno dai Provinciali a quelli Europei.

Un consiglio da campione vissuto per i giovani ciclisti di oggi?

Andare in bicicletta. Ma rimanendo al di fuori e ben lontani da quella società sportive disoneste che usano i cosiddetti “trucchi da stregone” per vincere le gare.

Per tutto il resto dico sempre questo: correte onestamente, allenatevi con scrupolo, non cercate inganni e fate vita sana.

Sono questi gli ingredienti che danno gioia al cuore e mettono le ali ai piedi portandovi alla vittoria.

Federica Premi

Il MdL Lisjak a casa sua in posa davanti a una imponente vetrina di Coppe e trofei

Lisjak con la Stella al Merito del Lavoro

MdL Giuseppe Lisjak con una maglia tricolore

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