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I Re Magi, La Cometa e Brugherio

I Re Magi e la “stella cometa”

1° puntata

Il racconto di Matteo

Dei Magi si ha notizia nel Vangelo di Matteo, capitolo 2, versetti 1-12. Non vogliamo approfondire qui l’argomento sulla storicità dei Vangeli, ma a giudizio di specialisti aggiornati (Thiel), “nessun libro dell’antichità è stato a noi trasmesso con tanta accuratezza, abbondanza e antichità di manoscritti come il Nuovo Testamento”.

Attualmente sono conosciuti ben 4.680 antichi testi del nuovo testamento, tra cui una sessantina di papiri. Il frammento più antico di papiro il Papiro 52,anche detto papiro Rylands, è un frammento (89 per 60 mm) di un codice papiriaceo scritto in lingua greca, contenente frammenti del Vangelo secondo Giovanni (18,31-33 nel recto e 18,37-38 nel verso). È conservato assieme agli altri Papiri Rylands alla Biblioteca universitaria John Rylands di Manchester, Regno Unito.

Sebbene il Papiro 52 sia quasi universalmente considerato come il più antico frammento del Nuovo Testamento canonico, la precisa datazione di questo papiro non è universalmente condivisa; lo stile della scrittura suggerirebbe una datazione tra il 125 e il 160 d.C., ma le difficoltà nel determinare la datazione di un frammento su sole basi paleografiche ha fatto sì che siano state proposte sia datazioni anteriori al 100 che alla seconda metà del II secolo.

Nel 1956 è stato pubblicato il Papiro 66 che contiene per intero il Vangelo di Giovanni e che è datato alla seconda metà del II secolo.

Fa parte di una collezione costituita da una cinquantina di manoscritti in greco acquistati da Martin Bodmer. Il Papiro 66, conosciuto anche come Bodmer II, è un codice papiraceo in maiuscola.  Misura 15,2 x 14 cm e consta di sei fascicoli, di cui restano 104 pagine. E’ conservato presso la Biblioteca Bodmeriana a Cologny (nei pressi di Ginevra).
La scoperta del Papiro 66 rappresentò qualcosa di assolutamente nuovo, che si sarebbe ritenuto addirittura impossibile. Era il Vangelo di Giovanni in forma di vero e proprio libro, con alcuni piccoli danneggiamenti ai margini. Si potevano ancora vedere persino le cuciture dei fascicoli e alcuni resti di strisce di papiro usate a tale scopo. Comprende quasi per intero Gv 1-14 e frammenti dei capitoli seguenti. Il Papiro 66 costituiva un unicum non solo per lo stato di conservazione, ma anche per il testo. Soltanto questo papiro forniva la chiave per capire appieno  il testo del Nuovo Testamento nel II sec.

Per capire con quale inaudita autorità testuale si presenti il Nuovo Testamento, occorre osservare che per gli scrittori greci il tempo che intercorre tra stesura dell’originale e copia rinvenuta per esempio di uno scritto di Eschilo è di 1500 anni, per Platone di 1300 anni: per i Vangeli di solo 150 anni!

Ma torniamo al racconto evangelico di Matteo (che invitiamo a leggere).

La Stella

Non si è naturalmente raggiunta la certezza che le cose si siano davvero svolte come raccontato da Matteo, né si giungerà mai a questa sicurezza: è però certo che l’ipotesi che si tratti di un racconto simbolico deve fare i conti con una serie di scoperte effettuate nell’arco degli ultimi tre secoli. Pare intanto provato ormai scientificamente che gli astrologi babilonesi (quasi certamente i magi di Matteo) attendevano la nascita del “dominatore del mondo” a partire dall’anno 7  a.C. Questa data, con l’anno 6  a.C., è tra quelle che gli studiosi danno come più sicure per la nascita di Gesù. Il monaco Dionigi il Piccolo, infatti, calcolando nel 533  l’inizio della nuova era, si sbagliò e posticipò di circa 6 anni la data della Natività.

In questa luce, acquistano nuovo suono i due versetti del secondo capitolo di Matteo: “Nato Gesù in Betlemme di Giuda, al tempo di re Erode, ecco dei magi arrivare dall’oriente a Gerusalemme, dicendo:”Dov’è il re dei Giudei? Abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo”.

Ecco le tappe che avrebbero portato a chiarire il perché dell’arrivo e della domanda dei magi. Una vicenda che ha quasi il sapore di un “giallo”.

Nel dicembre del 1603 il celebre Keplero, uno dei padri dell’astronomia moderna, osserva da Praga la luminosissima congiunzione (cioè, l’avvicinamento) di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci. Keplero, con certi suoi calcoli, stabilisce che lo stesso fenomeno (che provoca una luce intensa e vistosa nel cielo stellato) deve essersi verificato anche nel 7  a.C. Lo stesso astronomo scopre poi un antico commentario alla Scrittura del rabbino Abarbanel che ricorda come, secondo una credenza degli ebrei, il Messia sarebbe apparso proprio quando, nella costellazione dei Pesci, Giove e Saturno avessero unito la loro luce. Pochi diedero qualche peso a queste scoperte di Keplero: prima di tutto perché la critica non aveva ancora stabilito con certezza che Gesù era nato prima della data tradizionale. Quel 7  a.C., dunque, non “impressionava”. E poi anche perché l’astronomo univa troppo volentieri ai risultati scientifici le divagazioni mistiche.

Oltre due secoli dopo, lo studioso danese Munter scopre e decifra un commentario ebraico medievale al libro di Daniele, proprio quello delle “settanta settimane“. Munter prova con quell’antico testo che ancora nel Medio Evo per alcuni dotti giudei la congiunzione Giove-Saturno nella costellazione dei Pesci era uno dei “segni” che dovevano accompagnare la nascita del Messia..

Nel 1902 è pubblicata la cosiddetta Tavola planetaria, conservata ora a Berlino: è un papiro egiziano che riporta con esattezza i moti dei pianeti dal 17  a.C. al 10 d.C. I calcoli di Keplero (già confermati del resto dagli astronomi moderni) trovano una conferma ulteriore, basata addirittura sull’osservazione diretta degli studiosi egiziani che avevano compilato la “tavola”. Nel 7  a.C. si era appunto verificata la congiunzione Giove-Saturno ed era stata visibilissima e luminosissima su tutto il Mediterraneo. Infine, nel 1925 è pubblicato il Calendario stellare di Sippar. E’ una tavoletta in terracotta con scrittura cuneiforme proveniente appunto dall’antica città di Sippar, sull’Eufrate, sede di un’importante scuola di astrologia babilonese. Nel “calendario” sono riportati tutti i movimenti e le congiunzioni celesti proprio del 7  a.C. Perché quell’anno? Perché, secondo gli astronomi babilonesi, nel 7  a.C. la congiunzione di Giove con Saturno nel segno dei Pesci doveva verificarsi per ben tre volte: il 29 maggio, il 1° ottobre e il 5 dicembre. Da notare che quella congiunzione si verifica soltanto ogni 794 anni e per una volta sola: nel 7  a.C., invece, si ebbe per tre volte. Anche questo calcolo degli antichissimi esperti di Sippar fu trovato esatto dagli astronomi contemporanei.

Gli archeologi hanno infine decifrato la simbologia degli astrologi babilonesi. Ecco i loro risultati: Giove, per quegli antichi indovini, era il pianeta dei dominatori del mondo. Saturno il pianeta protettore d’Israele. La costellazione dei Pesci era considerata il segno della “Fine dei Tempi”, dell’inizio cioè dell’era messianica. Dunque, potrebbe essere qualcosa di più di un mito il racconto di Matteo dell’arrivo dall’Oriente a Gerusalemme di sapienti, di magi, che chiedono “Dov’è nato il re dei Giudei?”. E’ ormai certo, infatti, che tra il Tigri e l’Eufrate non solo si aspettava (come in tutto l’oriente) un Messia che doveva giungere da Israele. Ma che si era pure stabilito con stupefacente sicurezza che doveva nascere in un tempo determinato. Quel tempo in cui, per i cristiani, il “dominatore del mondo” è veramente apparso.

Tutti i calcoli, da Keplero ai successivi scoperti sui documenti antichi, sono stati trovati esatti dagli astronomi nostri contemporanei. Il “mito” della stella non sembra mito, ma realtà.

I Magi ritornano al loro paese, mentre nella basilica, che sarà poi eretta a Betlemme, viene realizzato un mosaico che li rappresenta nel tipico costume persiano.

Quando nel 614 l’esercito del re persiano Cosroe piomberà a Gerusalemme saccheggiando e incendiando le chiese, i soldati, arrivati a Betlemme, risparmieranno la basilica che reca il mosaico rappresentante i loro connazionali.

I Re Magi e Brugherio

2° puntata

Le notizie dei Magi si perdono fino a quando negli anni dopo il 313, Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino fa cercare le tombe dei Magi. Con i potenti mezzi della madre di un imperatore trova e trasferisce le loro spoglie dall’Oriente a Costantinopoli, nella basilica di Santa Sofia, poi trasformata in moschea ed oggi museo.

Nel frattempo Eustorgio, alto funzionario dell’impero, viene nominato governatore di Milano. E’ così benvoluto che i milanesi lo vogliono vescovo alla morte del vescovo Protaso nel 343. Il Papa accetta, ma Eustorgio, che è un funzionario imperiale, si reca prima a Costantinopoli per chiedere il consenso. L’imperatore Costante (figlio minore di Costantino che alla morte del padre nel 337 aveva avuto il governo dell’Impero Romano d’Occidente con capitale Milano) gli riconosce la nuova dignità ecclesiastica e gli dona le spoglie dei Magi da portare a Milano. E così intorno al 343 le spoglie arrivano a Milano. Vengono poste in una chiesa, che con successivi ampliamenti diventerà l’attuale Basilica di S. Eustorgio (così chiamata perché poi vi fu sepolto il santo vescovo alla sua morte).

Nel 374  a Milano viene mandato, come governatore, Ambrogio (romano nato nel 340  a Treviri in Germania dove il padre era alto funzionario dell’Impero).

Ad Ambrogio avviene quel che era avvenuto ad Eustorgio. Mentre vi sono tumulti con gli eretici ariani, Ambrogio scioglie la tensione, parla con tale saggezza che la gente lo acclama vescovo. Riceve i sacramenti da Simpliciano e la consacrazione a vescovo da San Limenio, vescovo di Vercelli. Siamo nell’autunno del 374.

Ambrogio ha un fratello, Satiro, che muore nel 378 e diviene santo, e una sorella, Marcellina, alla quale dona una villa di campagna (l’attuale cascina Sant’Ambrogio in Via dei Mille a Brugherio, oggi trasformata in un complesso di appartamentini con un cortile rettangolare interno che da l’aspetto del classico cascinale lombardo) dove Marcellina, consacratasi a Dio già da molto tempo, si ritira con alcune consorelle creando un piccolo convento.

Una piccola parte delle spoglie dei Magi (le ossa di tre falangi) è donata a Marcellina (tra il 374 ed il 397) dal fratello Ambrogio e custodita in una nicchia di un locale accanto all’attuale chiesetta di Sant’Ambrogio, tuttora esistente sulla sinistra della cascina.

Ambrogio muore il 3 Aprile 397, venerdì santo, e Marcellina tre mesi dopo, il 17 Luglio, sembra proprio nella villa di campagna, nel frattempo trasformata in convento. Le spoglie dei tre santi fratelli sono riunite dal nuovo vescovo Simpliciano (e sono tutt’ora visibili nella cripta sotto l’altare della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano).

Da vecchie pergamene, custodite nelle case madri degli ordini religiosi succedutisi nella villa-convento brugherese, prima della trasformazione in cascina, spuntano notizie sulla venerazione delle reliquie.

Nel 1578 San Carlo Borromeo, erigendo la parrocchia di San Bartolomeo a Brugherio, dedica la chiesa, oltre che al santo martire, anche ai tre santi Magi, segno che non si era ancora spenta la devozione. Nel 1604 il cardinal Federico Borromeo, in visita a Brugherio, si reca a onorare e far ricognizione alle reliquie dei Magi alla cascina Sant’Ambrogio.

Il 22 aprile 1613, come risulta da un documento dell’archivio parrocchiale, si decide di portare le reliquie dei Magi in luogo più consono e il 27 maggio 1613 le stesse vengono portate nella chiesa brugherese. Traccia del tragitto rimane nell’intitolazione antica della via Tre Re , via che collega la Via dei Mille dove è ubicata la cascina Sant’Ambrogio con la piazza Roma dove è ubicata la  Parrocchia di San Bartolomeo.

Qualche anno dopo verrà realizzato il bellissimo reliquario d’argento, con basamento barocco, che ancora ospita le falangi dei Magi, visibili da una teca, (una sorta di oblò di cristallo) incastonate nel petto di tre statuette di finissima fattura. Le statue sono piccole ed i brugheresi le hanno sempre chiamate “i umit”, gli omini.

Ma se i viaggi di queste piccole parti delle spoglie dei Magi si concludono a Brugherio, ben altra sorte subiscono i resti custoditi in S. Eustorgio.

L’imperatore Federico Barbarossa, dopo aver messo a ferro e fuoco Milano, decide di accontentare il suo cancelliere Rainaldo Von Dassel che sovraintende all’assedio (e che è arcivescovo scomunicato di Colonia) il quale vuol portare via le spoglie dei Magi. Le cerca invano nella chiesa di S. Eustorgio, perché nel frattempo (1161) i milanesi le avevano nascoste nella chiesa di S. Giorgio al Palazzo (nell’attuale omonima piazza in Via Torino a Milano), ma alla fine le trova. Non si accorge evidentemente che sono mancanti di alcune piccole parti (quelle brugheresi) e fa trasportare i resti nel giugno del 1164 a Colonia, con un trionfale viaggio di 14 giorni, passando per Vercelli, Torino, Passo del Moncenisio, Lucerna, Grammont, Brisach, Remagen, Bamberga, Magonza, Colonia.

Qui vengono messe nella chiesa di S. Pietro Apostolo, che viene ampliata e fatta diventare il magnifico duomo della città. Inizia un grande afflusso di pellegrini, tanto che la sua consistenza è la quinta al mondo dopo Gerusalemme, Roma, Santiago de Compostela, Aquisgrana. Lo stemma della città di Colonia diventa uno scudo con tre corone su manto di ermellino,  mentre il sigillo della locale Università raffigura i tre Magi.

Nei secoli seguenti Milano fa diversi tentativi per riavere le spoglie dei Magi. Nel 1500 Ludovico il Moro con l’appoggio di Papa Alessandro VI,  poi nel 1675 il cardinale Alfonso Litta. Inutilmente. Fin quando, nel 1909, il cardinale Andrea Ferrari, arcivescovo di Milano, riesce a farsi restituire alcune ossa, riportandole in S. Eustorgio, nell’antica bellissima cappella.

Nel 1979 vengono eseguite alcune analisi della stoffa nella quale sono avvolte le spoglie nell’urna e rivelano essere una stoffa databile tra il II e IV secolo: proprio l’epoca di S. Elena.

Se in Oriente le reliquie dei Santi Magi soggiornarono un paio di secoli, a Costantinopoli pochi decenni, a Milano circa 8 secoli (e poi, ancora, un altro secolo seppure per solo parte delle spoglie), a Colonia 8 secoli e mezzo, a Brugherio (seppure piccole reliquie) bel 16 secoli e mezzo ininterrotti. Brugherio può quindi definirsi la vera località di “residenza” delle reliquie di questi personaggi, grandi viaggiatori sia da vivi che da morti.

A Brughero è ancora viva la devozione ai Magi, tanto che il 6 gennaio, giorno dell’Epifania, il reliquario viene esposto sull’altare maggiore della chiesa di S. Bartolomeo, alla venerazione dei numerosi fedeli, provenienti anche dai paesi vicini (nel passato arrivavano veri e propri pellegrinaggi da molte località). I brugheresi ancor oggi dicono: “Amdem a basà i umitt”, andiamo a baciare gli ometti.


Non si sa se i Magi fossero solo tre (il Vangelo narra di “alcuni magi”, ma poiché i doni portati sono tre e le spoglie trovate da Elena sono tre, la tradizione ne tramanda il numero e ne ipotizza i nomi in Baldassarre, Melchiorre, Gaspare (nomi italianizzati).

CONCLUSIONI:

  • Una tradizione non può nascere dal nulla.
  • San Carlo Borromeo, che ha conosciuto e visitato per tre volte tutte le parrocchie della diocesi, rimuovendo con severità abusi, superstizioni e ignoranza, non credo abbia inseguito una favola circa le reliquie brugheresi quando, erigendo la Parrocchia di Brugherio nel 1578 l’ha dedicata a San Bartolomeo e ai tre Magi per via appunto delle reliquie (che il successore cardinale Federico Borromeo farà poi trasportare dal Convento di Sant’Ambrogio, ora ex-cascina restaurata in Via dei Mille).
  • Ad ogni modo in questa, come in altre vicende, c’è sufficiente luce per credere e sufficiente buio per non credere. Siamo liberi di decidere, magari ascoltando anche il cuore

MdL Sergio Augusto Vasconi

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